Da un po’ di tempo, le tecnologie digitali vengono criticate.
Da una pluralità di fonti queste tecnologie, utilizzate in periodo di pandemia per svolgere le lezioni in remoto, sono state accusate di aver diviso i ragazzi, arrivando addirittura a minare, in qualche caso alla base, la possibilità dei giovani di interagire gli uni con gli altri privandoli dei rapporti di gruppo caratteristici della loro età. Da qui, educatori, pedagoghi, esperti di varia provenienza e caratura sono spesso poi partiti per emettere giudizi fortemente negativi sulle tecnologie digitali in sé, bollandole come nemiche della socialità, come un modo di isolare i giovani, come, alla fine, un pericolo per una loro corretta evoluzione in individui adulti e responsabili, come attori di una società civile.
Non è così. Non del tutto, non sempre.
In effetti, per chi ha visto queste tecnologie nascere e crescere, queste critiche sorprendono. Le tecnologie digitali hanno unificato il mondo, lo hanno strettamente integrato trasformandolo in un’unica piazza globale, fino al punto che, da parte di altri esperti, paradossalmente, si critica l’eccesso di comunicazione che dà spazio a notizie tendenziose e a false teorie, fino a sfiorare l’assurdità e il sovvertimento di massa.
Com’è possibile che una tecnologia che unisce tutti possa separare i ragazzi?
Forse si potrebbe pensare che nel caso della scuola e del forzato apprendimento a distanza causato dalla pandemia, le tecnologie digitali non siano state usate nel modo corretto e che un altro modo sia possibile. Può essere?
Per questo DiCulther e Paolo Vanacore hanno fatto un esperimento.
DiCulther, un’organizzazione dedita alla promozione della cultura digitale, e lo scrittore Paolo Vanacore, si sono posti la domanda su come si potesse concepire un’iniziativa implementata tramite tecnologie digitali, in grado di creare una rete di interazioni sociali ed emotive tra i giovani che facesse loro trovare, o ritrovare, la voglia di stare insieme attraverso la scoperta della bellezza di un lavoro comune che facesse loro comprendere come il lavorare insieme e il capirsi non dipendano dal mezzo con cui si comunica, ma dall’avere un obiettivo condiviso e una serie di “regole di ingaggio” per rapportarsi gli uni con gli altri, in modo da impostare un dialogo che porti a stabilire una comunità, virtuale o meno. Ma quale lo scopo, quali le regole di ingaggio?
E poi, è venuta l’idea: un romanzo e una gara.
Un romanzo: mettere insieme studenti di scuole e classi diverse che, sulla base di un breve incipit predefinito, si auto organizzino e scrivano una trama, un dipanarsi di vicende collettive intrecciate tra loro che sia coerente e autoconsistente avvincendo sia il lettore nella descrizione di un percorso che chi lo scrive, perché all’interno di esso possa vedere proiettata una parte di sé. E far avvenire tutto questo totalmente in remoto, attraverso gli strumenti di comunicazione resi possibili dalle tecnologie digitali.
Una gara: diversi team che, sulla falsariga dello stesso incipit di base, generino romanzi diversi che sviluppano diverse opzioni e alternative per poi valutare cosa è stato fatto e inserire un elemento di competizione con una selezione del migliore romanzo e un suo inserimento nei canali che portano alla stampa.
Diverse scuole, in tutta Italia, sono state coinvolte in questo esperimento.
A Genova, sotto il coordinamento e l’assistenza della OdV diGenova, sono state definite due squadre composte ciascuna da classi di tre licei genovesi: una squadra dei licei D’Oria e Mazzini e una del Liceo Colombo.
Ciascuna squadra doveva scrivere un romanzo a partire da una condizione iniziale riassunta in un breve testo: un ragazzo parte per il primo viaggio della sua vita assieme a un gruppo di amici all’inizio del Covid e prima di partire lascia una lettera ai genitori. Da lì, i due team dovevano scrivere, indipendentemente l’uno dall’altro, un romanzo completo che sarebbe stato confrontato con l’altro e con quelli prodotti dagli altri team sparsi per il paese, per poi scegliere uno o più vincitori.
È da notare come ciascun team fosse composto da un numero di studenti variabile tra i 60 e gli 80, che i ragazzi delle diverse classi, anche all’interno dei singoli team, non si conoscessero e che i professori, a parte alcune indicazioni iniziali, si sono completamente astenuti dal partecipare e dall’interferire con il lavoro dei loro studenti. E che, inoltre, tutti i contatti tra i singoli membri di ciascun team si sono svolti durante periodi di lockdown, con sistemi di comunicazione a distanza come unico mezzo di comunicazione tra ciascuno di loro.
I risultati sono stati sorprendenti, quasi sconvolgenti.
Gli studenti, lasciati a sé stessi, solo provvisti di un obiettivo accattivante e di un compito, una missione si sono immediatamente interconnessi, hanno stabilito contatti tra di loro e in un tempo brevissimo, hanno trasformato ciascun gruppo, deliberatamente lasciato “libero” e senza vincoli, in una organizzazione strutturata, dotata di un organigramma e di una struttura funzionale in grado di affrontare al meglio un lavoro complesso e articolato quale la scrittura di un romanzo.
Addirittura, le organizzazioni che si sono date erano diverse e funzionali alla diversa struttura di base del romanzo che i due gruppi avevano deciso di dare.
Il tema D’Oria-Mazzini aveva incentrato il suo romanzo sull’approfondimento della natura, della personalità e dei profili tematici ed esistenziali di tre personaggi, diventati le figure chiave del romanzo, sui cui sviluppi e sulle cui vicende si sarebbe incentrato il corpo dell’opera.
Il team del Liceo Colombo ha deciso di sviluppare il romanzo secondo un doppio binario parallelo: quello della vicenda “di base”, indicata dalle condizioni iniziali, con un suo protagonista e dei comprimari, e quello di “Marco”, l’autore della vicenda stessa, che prende forma man mano che lui la scrive e di cui vengono descritti il travaglio e la maturazione interiore, sullo sfondo dei suoi problemi di identità e di rapporti, in primis con i suoi genitori. Un’invenzione letteraria complessa che, francamente, non ci si sarebbe aspettati da un gruppo di ragazzi senza alcuna esperienza di scrittura.
Così si sono messi al lavoro. Con passione, dedizione e fatica.
Si sono conosciuti, incontrati imparando a comprendersi. Si sono confrontati, hanno scambiato le loro idee. Hanno discusso, litigato, raggiunto accordi. Hanno valutato differenti opzioni, scelte e hanno preso decisioni su quale fosse quella migliore. Hanno messo in questo lavoro una parte di sé stessi, delle loro aspirazioni e speranze, identificandosi con tanti aspetti dei loro personaggi. Hanno creato tanti fili di eventi che, orditi insieme, hanno generato trame varie e coinvolgenti.
Hanno dato a tutto questo un senso profondo che viene da dentro di loro, da ciò che accade quando si è giovani, sull’orlo della vita in attesa che prenda una sua direzione che ancora non si conosce. Tutto questo è stato messo in quei romanzi.
Le tecnologie digitali non solo non hanno ostacolato, ma sono state uno strumento prezioso con cui gli studenti hanno potuto collaborare tra loro senza problemi di tempo, distanze o appartenenze a questa o quella classe o istituto.
Sì, in un certo senso le tecnologie li hanno resi soli: soli tra di loro. Ma tra loro comunicanti in modo vivo, operoso ed efficace. Il risultato sono stati due romanzi bellissimi che danno una viva emozione a chi li voglia leggere e coinvolgono nella lettura.
Dopo che i romanzi sono stati consegnati, abbiamo intervistato i ragazzi. Tutti hanno dichiarato che avevano vissuto questa esperienza con entusiasmo e partecipazione e che si erano identificati nei personaggi delle loro storie. E che, grazie a questa iniziativa, avevano scoperto nuovi amici, idee e modi di relazionarsi. Tutto questo si poteva capire dai loro volti da cui traspariva che questa esperienza se la porteranno con loro e nelle proprie attività future e se ci metteranno una parte di sé stessi, come hanno fatto con questo romanzo, le realizzeranno sicuramente con successo.
I vincitori del concorso sono stati proprio i ragazzi dei nostri Licei, il Liceo Colombo si è classificato primo, mentre il Team D’Oria/Mazzini secondo vincendo anche due premi speciali della giuria “L’amore in ogni sua forma” e “Immigrazione e integrazione” rispettivamente.
Ma penso che questa gara l’avevano già vinta tutti i ragazzi che hanno partecipato.
Penso che l’abbiano vinta i ragazzi che hanno compiuto un piccolo (piccolo?) passo verso la cultura e una maggiore conoscenza di sé e degli altri. Penso che l’abbiamo vinta tutti noi, perché il risultato di questa gara ci consente un po’ di ottimismo.
Questa gara ci dimostra infatti che, anche per le tecnologie digitali, il nuovo non ha intrinsecamente il potere di deprimere le qualità dell’Uomo. Presto o tardi, in una maniera o nell’altra, l’Uomo, le sue idee, la sua passione, il suo lavoro vincono e rendono la tecnologia uno strumento, utilizzabile per il bene o per il male, ma sempre dall’Uomo del quale incrementano soltanto le potenzialità.
Basta trovare il corretto modo di utilizzarlo e questo alla fine si trova, sempre. In questo senso, si può dire che quei ragazzi, quegli studenti, hanno dato, loro a noi, una lezione.
A cura di Piero Chiabra, diGenova OdV
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